Life Relationship Coaching

Ottobre 2019

10 consigli per comunicare con un figlio adolescente

L’adolescenza è la transizione tra l’età infantile e quella adulta, una fase molto delicata, turbolenta e fragile dello sviluppo di corpo, mente e anima. Il corpo subisce cambiamenti profondi e molto repentini, la sessualità diventa una pulsione sempre più prepotente, l’egocentrismo infantile cede il passo alla socialità. Allo stesso tempo la mente è dilaniata da spinte contrapposte:  bisogno di indipendenza e necessità di figure di riferimento; prendere le distanze dagli adulti e dai bambini; inserirsi in contesti sociali conformandosi e allo stesso tempo emergere come individui. L’assenza di un vero e proprio rito di passaggio tra l’età infantile e quella adulta, rende spesso questa transizione eccessivamente prolungata e particolarmente conflittuale. Questi sono i motivi principali per cui è così complicato per un genitore riuscire a relazionarsi e comunicare con un figlio adolescente, soprattutto quando si tratta di fare richieste e dire di no. Se poi aggiungiamo la difficoltà, per ogni mamma e per ogni papà, di accettare il fatto che il figlio non è più un bambino, otteniamo un quadro ancora più complesso. Qualche consiglio: 1 – Impariamo a vedere il figlio adolescente come una persona che può sostenere uno sguardo e un dialogo sul piano adulto. 2 – Evitiamo i segnali contraddittori. Non possiamo considerare il figlio un “bambino” e un “adulto” a seconda della nostra convenienza per avere la meglio su una discussione. Cerchiamo di essere coerenti, accettiamo che sta crescendo e che è giusto che voglia ragionare con la sua testa. Accettiamo anche che è un suo diritto avere delle opinioni diverse rispetto alle nostre. Accettiamo che sta cambiando e che perderemo progressivamente il controllo su di lui, come è naturale e sano che sia. 3 – Ascoltiamolo. Prima ancora di cercare di farci capire da un figlio, sforziamoci noi di comprendere cosa vuole comunicare e cosa si nasconde dietro ad una sua richiesta.Ascoltiamolo davvero, non diamo per scontato quello che ha da dire.È importante lasciare che finisca di parlare, senza interrompere. 4 – Se ci fa una richiesta, non rispondiamo immediatamente con un “no categorico” o con un rimprovero per il tipo di richiesta, perché questo è un atteggiamento che non lo fa sentire compreso e ascoltato. Anche se non siamo d’accordo, prendiamoci del tempo, spieghiamo con calma il nostro punto di vista e il perché del “no”. Il figlio in questo modo si sentirà preso in considerazione ed accetterà il limite con meno difficoltà. 5 – Non sminuiamo quello che un figlio vive, sente e pensa, perché significa sminuire lui come persona, cosa che lo indurrà a smettere di aprirsi ed essere più oppositivo e rancoroso. Inoltre, se dovesse davvero trovarsi in difficoltà, potrebbe a quel punto scegliere di tacere, perché tanto non verrebbe preso sul serio. Ridimensioniamo, quando necessario, gli eccessi, ma evitiamo di bloccare la comunicazione. 6 – Mettiamoci nei loro panni. Cerchiamo, anche se non condividiamo, di porci in una posizione in cui comprendiamo le esigenze di un figlio, guardiamo le cose dal suo punto di vista. Tutti siamo stati adolescenti e sappiamo quanto sia difficile.  7  – Evitiamo gli ordini e favoriamo gli accordi. Molti genitori sfiniti arrivano spesso a imporsi con frasi quali “Si fa come dico io”, “Io sono il genitore, devi ubbidire”. Questo va evitato, perché chiude la comunicazione, è prevaricante e non aiuta a capire il limite. Le regole sono importanti perché danno i confini dentro i quali i figli possono muoversi in sicurezza, ma è meglio deciderle insieme, stipulando dei patti. Rendiamo i figli partecipi di decisioni e responsabilità, chiediamo la loro opinione e rispettiamo la nostra parte del patto. 8 – Gli adolescenti sono più introversi dei bambini. I loro silenzi vanno rispettati, perché sono necessari a metabolizzare le sensazioni e le esperienze. Hanno il diritto di tacere e di non raccontarci ogni cosa, o di comprenderla bene prima di verbalizzarla. Sta a noi cercare di gestire la nostra paura del silenzio del figlio, imparando a cogliere il comportamento non verbale, bilanciando il rispetto del suo non dire con stimoli che gli ricordino che ci siamo. Può bastare anche chiedere la sua opinione su una notizia o su un film per creare un’apertura che lo induca poi a condividere anche altro. Non tampiniamolo di domande, ma aiutiamolo a riflettere con senso critico, alleniamolo a pensare con la sua testa. 9 – Forniamo apprezzamenti, oltre che critiche e regole. Evitiamo che il dialogo con noi sia associato e limitato solo alle reprimende e alle imposizioni, celebriamo i successi, lodiamo i punti forti, i talenti o gli incarichi ben eseguiti.  10 – Quando siamo in disaccordo, lodiamolo comunque, se ha ragionato con la sua testa, ad esempio: “Capisco il tuo ragionamento, anche se non sono d’accordo su tutte le tue conclusioni”, quindi aiutiamolo ad analizzare il suo ragionamento, in modo che comprenda dove aggiustare il tiro.

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Il fattore umano

Hai una piccola impresa? Il tuo successo aziendale dipende dalla felicità di chi lavora per te e con te.Non ti sarà difficile concordare sul fatto che quando sei di buon umore e soddisfatto, le tue giornate lavorative sono più produttive e meno faticose. Così come non avrai alcuna difficoltà ad ammettere che a parità di rapporto qualità-prezzo, tenderai a scegliere il fornitore con il sorriso più simpatico, a discapito di quello magari imbronciato o rude. Se lavori con il pubblico, sai già quanto sia importante il sorriso e la cordialità per la soddisfazione dei clienti. Probabilmente, però, non avrai avuto occasione di completare questa riflessione in tutta la sua portata. Ogni tuo collaboratore è una persona, con le sue aspirazioni, i suoi sogni, i suoi talenti e le sue difficoltà. Come te, è più produttivo quando è di buon umore e più propenso a dare quando viene trattato con rispetto e gentilezza. Ciò significa che è nel tuo interesse fare qualcosa di incisivo perché le condizioni di rispetto e gentilezza siano sempre presenti non solo nel tuo relazionarti con i collaboratori, ma anche nel modo in cui i tuoi sottoposti si rapportano tra loro. Nutri qualche dubbio in proposito? Secondo uno studio condotto nel 2015 dalla Social Market Foundation nel Regno Unito, un dipendente felice è il 22% più produttivo rispetto a un lavoratore insoddisfatto e il 12% più produttivo rispetto alla media. Il fondatore di “GoodThink Inc” Shawn Achor ha scoperto che la felicità dei dipendenti incrementa l’accuratezza di esecuzione dei compiti del 19% e le vendite del 37%.È per questo che grandi aziende come Netflix, Google e Ferrero investono pesantemente proprio per rendere soddisfatti e felici i propri dipendenti. Quanto sono importanti le relazioni umane nella crescita professionale? Molto più di quanto si può immaginare, perché una delle maggiori chiavi per la felicità individuale risiede proprio nelle relazioni umane. Per essere felici abbiamo bisogno di relazioni umane soddisfacenti.Daniel Kahneman  psicologo israeliano e premio Nobel per l’economia, con le sue ricerche ha evidenziato proprio che ciò che rende felici le persone, nel lungo periodo, è la qualità della vita relazionale (reti amicali, partner e colleghi). Alexander Kjerulf, fondatore di Woohoo inc, ritiene che i buoni rapporti tra colleghi sia addirittura più importante delle gratifiche economiche  in quanto ad effetto sulla felicità e sulla produttività di ogni lavoratore. Il maggior nemico di un’azienda, in tal senso, è rappresentato proprio dalla difficoltà relazionale, sia tra capo e dipendenti  e sia tra colleghi e collaboratori.  Comportamenti negativi come pettegolezzi, ruvidità, volgarità, indelicatezze e prepotenze minano la serenità, la felicità e conseguentemente la produttività aziendale. Tutto questo diventa ancora più determinante nelle piccole e medie imprese, dove è proprio l’esiguità del numero dei lavoratori a comportare l’enorme rilevanza di ciascuno di loro per il successo aziendale. L’azienda come la famiglia Le dinamiche relazionali in questi contesti tendono a somigliare a quelle familiari, anche perché l’85% delle aziende italiane è proprio a conduzione familiare, quindi il gruppo di lavoro non si limita a somigliare ad una famiglia, lo è a tutti gli effetti. Ciò significa che nelle piccole aziende ricorrono ed hanno un grande peso tutte le tipiche dinamiche di sofferenza familiari, ad esempio il conflitto fra dipendenza e ricerca di autonomia dei figli, il difficile equilibrio tra esigenza di coesione e impulso alla differenziazione, tra interessi economici e bisogni individuali, i contrasti nelle responsabilità, nel processo di successione, nelle diverse visioni del futuro individuale e di gruppo. Tutte criticità che generano sofferenza, diminuendo quindi efficacia e produttività.È per questo che investire nella cura della relazione, cioè formarsi e formare il proprio staff in coaching relazionale, significa intervenire in uno dei settori chiave sia della felicità individuale che del successo professionale. Significa acquisire gli strumenti in grado di creare quel clima di serenità così prezioso per la produttività aziendale. 

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